Feriti
Nel corso della Prima guerra mondiale tra gli italiani al fronte i feriti furono più di un milione, tra gli austriaci circa 650.000. I soldati italiani che riportarono invalidità permanenti superarono i 450.000.
Il 70% delle ferite erano causate da schegge e da pietre sollevate dalle esplosioni che potevano mutilare in vario modo il corpo umano.
La pratica più ricorrente in caso di ferite gravi agli arti era l’amputazione, ma nel caso di vaste lesioni addominali e al torace i medici si scoprirono impotenti. Le ferite al volto aprirono il vasto capitolo delle ricostruzioni plastiche.
"Stamatina a ore 9 ½ doveti asistere allo spetacolo di vedere cascare per tera colpito da pala nemica ove li pasarno tutte e due le ganbe un tedesco di Caldaro apartenente alla nostra squadra, ove lavoravamo del medesimo mistiere: apena sentito il colpo tutti li uomini si tretero per tera ma ormai il proietile aveva fatto il suo effeto, il ferito fu messo su una civera [portantina di legno] e tirato per tera finche i portatori arivarono al luogo sicuro quindi chiamarono la sanita per essere trasportato al ospitale."
Antonio Giovanazzi, in Scritture di guerra, vol. 7
"Gli ammalati gravi vennero caricati sopra i carri e fatti proseguire […] E qui cominciò la più orribile parte del viaggio. Esausto com’ero, soffrivo terribilmente, come in sogno si soffre quando inseguiti da qualche immaginario nemico le gambe si rifiutano di portarti. Fu così che scendemmo alla valle, passammo il ponte, la sega, poi l’ascesa verso Terragnolo. Nessuno poteva aiutare; se non meglio, tutti ne avevano ad usura.
E così quella colonna di ammalati, faccia a terra, con le gambe che tremavano, proseguiva silenziosa, perché nessuno aveva più la forza di lamentarsi. […] Una decina di carri aspettavano gli ammalati che dovevano proseguire per Serrada."
Francesco Laich, in Scritture di guerra, vol. 10
"Nel ospitale di quella citta il Dottore mi visito e mi fece coricarmi su di un letto fino alla sera quindi mi consiglio di andare avanti ancora un ora di strada e passare il fiume che collà trovava un altro ospitale più sicuro dal nemico il che feci assieme ad altri 10- o 12 ammalati, quivi il giorno apresso 29 vennero colli automobili e ci condussero in un altro paese che non so il nome e la restammo fino al 31 a ½ giorno poi salimo nel treno che ci condusse quella sera circa le 9 a Vadovice ancora in Galizia.
Nel ospitale di Vadovice trovai cure amorose da parte di una buona suora tedesca poiché il mio male si era aggravato di molto causa anche il viagio e il tempo freddo."
Decimo Rizzoli, in Scritture di guerra, vol. 2
Il sistema medico-militare italiano nella Grande Guerra era gestito dal Corpo della Sanità Militare e dall’apparato della Croce Rossa Italiana, coadiuvato dal personale volontario di vari comitati assistenziali. Nel 1916 i medici militari in zona di guerra erano 8.000, più altri 6.000 che operavano in retrovia; nel 1918 diventarono 18.000. Le infermiere volontarie impiegate in Italia furono più di 9.500.
Subito dietro alle prime linee si trovavano i posti di medicazione, sistemati in punti defilati dove i feriti venivano sommariamente fasciati e medicati; in seguito i feriti raggiungevano gli ospedaletti da campo. Qui il personale medico chirurgico operava i più gravi, medicava sommariamente i meno urgenti che venivano inviati negli ospedali posti nelle retrovie, spesso ospitati in scuole, ospedali civili o ville, in prossimità di grandi strade o ferrovie.
"Alla mattina dei 20 maggio mi trovai il letto pieno di sanque perso fra la notte dalla ferita e tanto debole che non potevo in nesun modo pronunciare parola. Venni portato a basso in una sala, circondato da più medici, su una tavola legato giù braccia e piedi, e con la maschera alli occhi, dovetti subire a quel potente veleno d’indormia, era oribile confrontarlo mi sembrava la morte volesse sciaciarmi. Mi svegliai dopo più ore e mi trovai in una altra camera di quelli operati, sentii dolori potentissimi, e la febre 40 gradi debole senza appetito e pensavo quello che mi avran fatto mi feci più volte scoprire per vedere se o ancora la mia camba. Il giorno apreso ricevetti denaro da casa, un paco, e lettera. Del pacho potei sagiar solo una lingua di vino dinascosto e il resto ai amici di camera."
Emilio Fusari, in Scritture di guerra, vol. 3
"Su tutto il fronte l’artiglieria è qualcosa di infernale tutta la notte e tutto il giorno. [...] Io sono stanco morto. Ho lavorato circa 28 ore con appena sei ore di riposo. [...] Torno in servizio alle 8. Sono entrati più di 50 feriti nuovi! L’ammissione di questi e la scarsità del personale tecnico (2 chirurghi e due assistenti) per più di 25 feriti, fa sì che il servizio di medicatura lasci a desiderare; non tutti quelli che ne avrebbero bisogno possono essere medicati. Trovo morto l’attaccato di gangrena gassosa. Viceversa un mio amputato di ieri, pure per gangrena, e che credevo trovar morto, sta assai meglio. Mi accoglie con un sorriso!"
Gregorio Soldani, Dal fronte del sangue e della pietà. Il diario del capitano medico Gregorio Soldani nella Grande Guerra, Gaspari editore, Udine 2000
"Improvisamente, non mi so nemmeno io spiegare, sento, un colpo tale alla testa, che credetti, averla, esportata dal busto, Caddi a terra come fulminato. Pensai subito: Son morto. Aspettai. Vedendo però, questa signora morte, farsi attendere troppo, aprii gli occhi. Ci vedevo. Dunque non ero ne, morto, ne cieco. La testa mi doleva terribilmente. Provai con una mano, a tastarmi, e fino al naso, ero sano. Provai la bocca. Grani Dio! Era un ammasso di carne ed ossa infrante; tutta la mascella destra; mi pendeva, e dallo squarcio terribile usciva il sangue a flotti. Tutto il mento, posava sulla mia spalla destra. Ben 20 denti, erano volati per i campi sottostanti assieme alle ossa, gengiva, e mascella inferiore."
Giovanni Pederzolli, Ricordo della guerra mondiale. 1914-1915-1916, in Scritture di guerra n. 10
"Dopo la calma di ieri, oggi pomeriggio è ricominciato il trambusto che continua anche ora. Di notte ci sono arrivati cento feriti, abbiamo trasferito quelli che erano solo da medicare e tenuto quelli da operare.
C’è pieno da fare e corremmo essere dei millepiedi o millemani ma calma, ce la facciamo. Siamo tutti ben istruiti e capaci, funziona tutto benissimo. Oggi ho fatto la mia prima grande narcosi, per fortuna il paziente è sopravvissuto, anche perché c’era un dottore che non conoscevo. Credo veramente che ora dobbiamo metterci alla prova e fare il nostro dovere e non riesco neanche a spiegarvi quanto sia liberatorio. Ci battiamo sulla spalla dicendo “brava, brava”. Potrei descriverti certe sensazioni e emozioni, orribili immagini di ferite atroci, di cadaveri che vengono trasportati dentro. Fino a notte fonda un carro e un’automobile dopo l’altra finché non siamo pieni e sono costretti a proseguire. La calca nell’atrio d’entrata."
Edina Clam Gallas, Lettere dal fronte. 1915-1918, Tipografia Editrice Temi, Trento 2015